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#LeMieOlimpiadi

 

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"La lista degli sport che ho praticato è piuttosto lunga: calcio, nuoto, ciclismo, sci, pallavolo, pallamano, tennis e (per caso) pentathlon."


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Le Olimpiadi

o "gli sport di una vita"

(INTRO) Quandi i bambini vivevano in strada, io c'ero! Una volta, nei primi anni '70, organizzammo una serie di gare sportive ispirate alle Olimpiadi, che coinvolse tutti i compagni di giochi del quartiere. Io disegnai le medaglie, dischi di carta colorata incollata su cartoncino e ritagliata col foro per passarci un nastro di cotone. Non posso elencare tutte le prove individuali che mettemmo in atto, ma andavano dalla corsa al ciclismo, dai salti al ping-pong. Tutti potevano vincere, tutti sarebbero stati giudici a turno per misurare o cronometrare, in modo che si giocasse secondo le regole. Lo facevamo in un'area poco frequentata del quartiere, conosciuta come Il Canale, per il fatto che sotto la pavimentazione di cemento ci scorreva ancora un'antica via d'acqua. Quelle Olimpiadi fatte in casa ci aiutavano ad essere competitivi con rispetto in tanti sport quanti ne potevamo gestire da soli. Pur essendo dei ragazzini, eravamo una Polisportiva.


VOL. I: CALCIO DAL 1965.

Quando i bambini vivevano in strada, io c'ero! Di certo il gioco del pallone attirava i ragazzi e non perdevamo occasione di giocare a calcio su qualunque terreno fosse a nostra disposizione—cemento, asfalto, prato o sabbia. Ma quando la giovane gang era mista di ragazzi e ragazze, il divertimento veniva dai classici giochi all'aperto: Nascondino, Ruba-bandiera, Salto della Corda, La Settimana, tutti vivi nella mia infanzia.
Questo è un viaggio attraverso gli sport che ho praticato seriamente negli anni della scuola e oltre...
1. Calcio (1965-1990 ca.)
Il pallone fu quello che imparai a giocare prima di tutto. All'inizio avevo una palla fatta di stracci ben assemblati e cuciti da mia madre in una sfera rotonda di lana! Nessun rumore e nessun danno quando ci giocavo dentro casa. Fuori ero un bimbo di strada con molti compagni e un pallone di plastica per giocare per lo più su marciapiedi di cemento tra i due lati della strada—da portone a portone, la strada il centrocampo! Ogni volta che un'automobile arrivava una voce gridava: "macchina!" e la partita si fermava... Qualche volta giocavo a calcio sulla terra piena dopo l'oratorio o sull'erba dei parchi quando un genitore ci portava fuori dal nostro quartiere. Il primo problema era fissare le porte e creare l'apparenza della rete che poi era l'essenza del gioco (goal). Di solito i pali erano capi di vestiario lasciati dai ragazzi per marcare i limiti di porta; nel cortile della chiesa erano disegnati sul muro che sosteneva la navata. E così via. L'altra difficoltà era l'arbitro, lo stesso problema delle partite dei professionisti. Il gioco tra amici non richiedeva l'arbitro ma solo un accordo informale che poi sfociava in discussioni all'ordine del giorno che portavano a sospensioni frequenti—l'unico "super-partes" poteva essere considerato il prete del catechismo. Dopo quei verdi anni, mi unii ad un club dilettante giovanile per diventare un giocatore regolare ma, sempre bagnato di sudore, ritornavo a casa per trovare mio padre furioso per il mio trascorrere ore fuori senza studiare. Questo fu il motivo per cui la mia carriera finiva prima di cominciare. Restai un giocatore entusiasta ma non allenato, buono per partite serali con amici maturi. Una rivincita arrivò a metà degli anni 1980 e dovrei spiegarla. Al termine di un torneo aziendale di calcio, la mia squadra va in finale—allora lavoravo a Bologna—così ebbi l'opportunità di giocare l'ultima partita in un vero stadio del campionato italiano di calcio, 105x68 metri e capienza di 35.000 spettatori. Il prato, le porte, le linee e le dimensioni del campo erano quelle delle squadre di Serie A. Quella volta le mie scarpette VALSPORT scesero in campo. Giocai da terzino destro per usare un termine classico. Passai la linea centrale del campo 4-5 volte in quanto il pressing alto non era di moda. Buona gara e grandi sensazioni sotto i piedi: per 90 minuti sentii di essere nel mio habitat naturale! (Il risultato non conta).
2. Nuoto (1970-2020)
Quando ero un teen-ager feci il corso di nuoto per alcuni anni continuativamente. La famiglia mi indirizzò ad uno sport completo e di certo esso completò la mia crescita equilibrata—sapete che nuotando uno usa parte destra e sinistra del corpo nello stesso tempo e con stessa intensità. Nuotare fu inizialmente difficile, troppo freddo d'inverno e troppo lunga la vasca estiva da 50 metri. Duro allenamento ma ne valse la pena: diventai un ottimo nuotatore senza attitudine per la competizione. Nuotare è il mio sport preferito d'estate. Sport stagionale di grande impegno per braccia e gambe. Alterno tre stili per un'ora e questa è la mia sessione standard in acqua nelle giornate da oltre 30°C, nonostante l'età. Ultimamente devo proteggere molto i miei occhi delicati con speciali occhiali ARENA. E continuo a praticare questo sport nella stessa piscina olimpica dove avevo imparato a nuotare 50 anni fa!

#MyOlympicGames

VOL. II: VIA DALLA CITTÀ!

Se fossi vissuto nel Benelux, forse sarei stato un ciclista—lo pensavo mentre i corridori erano impegnati al Da Ronde van Vlaanderen (Giro delle Fiandre). La corsa di quest'anno è una visione limitata allo schermo tv a causa del rischio contagio. Per questo alla gente non è consentito sostare lungo i grigi marciapiedi ad incoraggiare i loro corridori favoriti affaticati dai muri in pavé. Soltanto qualche timido residente appare qui e là dietro alle maschere sul Paterberg. Così lo sport tira avanti.
E qui c'è la seconda puntata dedicata agli sport che ho fatto seriamente per darmi una mossa.
3. Ciclismo (1970-oggi)
È probabilmente questa la mia seconda inclinazione nello sport se penso a quanto ho pedalato nella mia vita—la stima è di circa 40.000 km. Ho sempre usato la bicicletta per muovermi in città ma nella mia fantasia pensavo di essere un vero ciclista! I momenti preferiti sulla bici erano le lunghe uscite in collina o sulle prime montagne. Fuori dal cortile, da teenager cominciai presto ad andare in bici con i coetanei in quanto la cultura del territorio era impregnata di bicicletta. Era come un'iniziazione quando uscivamo per arrivare alle prime colline intorno alla città per mostrare coraggio, forza e resistenza. Con le alture che erano a 30-35 Km dal centro, si capisce quanto impegnative fossero quelle prime avventure—su una bicicletta comune da ragazzi, con parafanghi e senza cambio, noi senza casco. Solo per il piacere di raccontare ai genitori di quel viaggio! Anche dopo non entrai in un gruppo ciclistico, ma rimasi un ciclista amatore. Crescendo migliorai la mia bicicletta con l'aggiunta dei cambi al modello da città ma non ebbi mai una bici da corsa. Non di meno negli anni '90 cominciai a percorrere lunghe distanze, anche 150 Km al giorno. Nel lungo periodo di disoccupazione il ciclismo era diventato il primo impegno e così arrivai fino al mare in una singola escursione. La bicicletta con cui andavo veloce in regione, una volta fino al mare, era un modello Alicanto della BIANCHI—che un giorno mi fu rubata in strada (seguì un lutto prolunagato).
Oggi l'ultima tappa del mio ciclismo come sport attivo mi trova impegnato in brevi giri fuori strada con la mountain-bike. Naturalmente mi piace il ciclocross su sentieri angusti nella boscaglia!
4. Pallavolo (1974-1978)
Nella scuola media e oltre l'Educazione Fisica era una materia come matematica e storia. Facevamo esercizi di ginnastica, ma il bello arrivava dallo sperimentare per la prima volta degli sport come la corsa veloce e il salto in alto, poi pallavolo e pallacanestro giocati possibilmente nella palestra della scuola. Al liceo fummo molto orientati alla pallavolo dall'insegnante. Che era in effetti l'allenatore dell'importante squadra locale, vincitrice di diversi scudetti nazionali e ovviamente nota come la PANINI dal nome dello sponsor. Perciò imparai le basi del volley, quelle del palleggio e della ricezione, dalla persona giusta. Io ho giocato a pallavolo soltanto dentro le mura del liceo e non mostrai ulteriore interesse. Qualche volta in spiaggia ho trovato molto divertente giocare di nuovo al volley come passatempo estivo. Giusto per la cronaca.

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VOL. III: I GIOCHI INVERNALI.

Durante il lockdown dovuto alla pandemia, gli sport all'aria aperta e individuali hanno sofferto meno restrizioni degli sport di squadra e di quelli giocati nei palazzetti dello sport. Sfogliando tra le mie foto-ricordo ho notato due sport molto diversi in cui mi sono impegnato.
5. Sci (1971-1980 ca.)
I miei genitori non erano veri amanti della montagna ma ebbero la bella idea di mandarmi alle settimane bianche organizzate dagli insegnanti della scuola media alla fine dell'inverno. Per tre anni andai sulle Alpi nord-orientali con ragazzi della mia età (11-13 anni) e imparai a sciare. Considero lo sci lo sport più difficile che abbia praticato a causa del rigido ambiente esterno e della tecnica precisa da assimilare. Da quel periodo ne venni fuori buon sciatore e in seguito da ragazzo andai ancora in montagna con gli amici per gite di un giorno e discese sugli sci—una volta provai lo sci nordico, soltanto per sudare come un matto! Anche se non mi consideravo un amante di questo bellissimo sport, ho conservato la datata attrezzatura per sciare: gli sci FISCHER, la salopette e gli scarponi.
Lunga vita alla montagna e ai ghiacciai!
6. Pallamano (1975-82)
Sono stato un giocatore di pallamano. La prima medaglia meritata nella mia carriera sportiva arrivò subito dopo essere entrato in una squadra di pallamano. Accadde nel 1975 ai "Giochi della Gioventù", un meeting tra le squadre juniores della provincia. Da debuttante e con poco allenamento fui gettato nella mischia come ala sinistra in quanto ero alto oltre 1,80 ma non abbastanza robusto per stare nel mezzo. Continuai con la pallamano per diversi anni nella squadra locale che partecipava al campionato italiano. Capitò così di fare una dozzina di presenze in Serie A, partendo dalla panchina, e di segnare qualche gol su rigore, tiro in cui mi ero specializzato. L'anno seguente il club ebbe difficoltà finanziarie e ripartimmo dalla terza serie. All'inizio eravamo un gruppo di amici soliti giocare a calcio dovunque, che diventammo giocatori tesserati di pallamano per provare la novità. Presto la pallamano divenne il mio primo impegno sportivo. Cosa dovrei ricordare qui? La scelta delle scarpe di marca—consideravo le Universal di ADIDAS il modello ideale per giocare a pallamano. I frequenti cambi di sponsor per fare sopravvivere il club. La difficoltà di trovare spazio tra gli sport maggiori, con la pallavolo locale dominante. Una breve e infruttuosa esperienza con un allenatore rumeno dal nome bizzarro. Le gare casalinghe giocate in condizioni proibitive, nel nebbioso campo all'aperto, mentre questo è sport da palazzetto. Le gare esterne che mi portarono con i compagni di squadra da Trieste a Teramo, in ambienti molto caldi per noi visitatori. Nel 1982 lasciai la pallamano mentre stavo finendo l'università e senza vivere gli anni della pallamano professionistica che stavano arrivando.

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VOL. IV: FUORI-ETÀ.

Negli anni 1970 la classe operaia aveva migliorato i suoi standard di vita grazie a ulteriori diritti conquistati sul luogo di lavoro. Così i miei genitori mi fecero studiare fino all'università, a differenza di quanto avevano fatto loro trent'anni prima, cominciando a lavorare dopo le elementari. Nel mentre io potei anche giocare e fare molto sport!
Qui scrivo di altri sport che ho lasciato dietro a me. Entrambi ebbero significato quando ero oramai più che ventenne.
7. Pentathlon (1983)
Al tempo il servizio militare era di 12 mesi e obbligatorio per me che godevo certamente di buona salute. All'inizio stavo al centro per i nuovi arrivati (C.A.R.) dove ebbi occasione di entrare nella squadra di pentathlon militare. Feci cinque prove: nuoto, corsa, lancio di precisione del peso, tiro col fucile, percorso di guerra. Non superai la selezione in quanto fui bravo soltanto nel nuoto e nel tiro al bersaglio. Lasciai il centro reclute per finire nell'ufficio di una caserma di artiglieria posta di fronte a Venezia. Di certo feci molte guardie dai posti di vedetta. Essendo difficile fare sport nei dieci mesi a seguire, mi consolai camminando molto. Dopo il servizio andavo a spasso su e giù per Venezia e qualche volta assistevo alle partite di pallacanestro della Reyer nello storico parquet della "Misericordia". Abbiate pietà!
8. Tennis (1978-1988 ca.)
A metà degli anni '70 la moda del tennis era esplosa tra gli italiani in seguito ai succesi conseguiti dai giocatori della squadra nazionale che avevano vinto la coppa Davis. Così anch'io venni coinvolto dal movimento pro-tennis. Eravamo i porci che entravano nel tempio di un gioco aristocratico! Per accogliere quella orda di esordienti, si costruirono campi da tennis dovunque fosse possibile—vidi molti campi di bocce smantellati e coperti da superfici in mateco. Alcuni vecchi sport lasciavano lo spazio sociale in favore della fascinazione del tennis. Sui campi artificiali andavo a giocare a tennis con amici e colleghi, principianti come me. Non terra rossa né erba!
Partimmo con abbigliamento da tennis improvvisato per poi passare ai completi di marca. Ricordo d'avere portato l'iconica maglia FILA beige con il colletto chiuso dalle clip e una divisa SergioTacchini bianco-rossa fornita dalla ditta per i tornei aziendali di tennis. Poco alla volta migliorai grazie a sommarie istruzioni di giocatori più esperti. Racchette, palline, posture e tutto il resto. Il mio coup de théâtre nel tennis era il rovescio a due mani: ero del resto un modello impostore, al più un giocatore di basso livello!
In questo modo ho raccontato l'attitudine a passare da uno sport all'altro, praticandoli tutti e otto da dillettante con grande impegno come era tipico della mia generazione, penso. Volevamo provare molti sport e abbiamo potuto farlo perché fare sport come bel modo di vivere ci fu consentito come mai prima. FINE.

(OUTRO) Se mi guardo indietro, sono molto affezionato all'edizione del 1972 tenutasi a Monaco in Germania. Ci sono molte ragioni. Primo, avevo ricevuto una borsa tracollo col logo Munich 1972 qualche settimana prima dell'evento sportivo. Secondo, per la prima volta vidi le Olimpiadi in TV, vale a dire essere coinvolto, guardare l'eccellenza degli atleti in azione e pensare di imitarli se possibile. Ma, terzo, le competizioni furono uno scenario in cui Americani (coi loro alleati) e Sovietici (coi loro alleati) erano sempre ai ferri corti! Quarto, è storia. In aereoporto l'attacco ai terroristi sulla via di fuga dalla Germania, dove prima avevano abusato del villaggio olimpico per uccidere atleti d'Israele. Lasciò un segno indelebile nella memoria.
Dopo qualche anno visitai Monaco e andai all'Olympiapark, ultimo atto per non dimenticare le Olimpiadi del 1972 mai più.

©2021 Roberto Dondi::www.dmlr.org
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Pubblicato { 20 Luglio 2021 -- Durante la staffetta della torcia.